Commento
al fascicolo n. 192
La Cena: “Fate questo in memoria di Me”
Illustrare un argomento così complesso qual è la ‘Cena del Signore’ con il conseguente rito della Comunione, la cui importanza nella Chiesa cattolica si perpetua da oltre 1600 anni, ossia fin dal primo Concilio, non ci consente di adoperare alla leggera le parole. Persino gli ‘spiriti guida’ in questo fascicolo si fanno da parte e, nella quasi totalità dei sessanta dettati, è solo ‘il Signore’ a parlare. Egli porge alla ricevente BD la Sua voce diretta, amorevole e paterna come la conosciamo, e spiega ancora una volta la Sua Parola racchiusa nei Vangeli donandoci un’ulteriore comprensione di quelle espressioni il cui simbolismo spirituale nel corso del tempo è stato via via travisato, fino a modificarsi del tutto, pur continuando a trasmettere - nella sua ermeticità - la valenza propria del magnifico evento dell’ultima Cena.
Dunque, a motivo del tema trattato, e soprattutto per il fondamentale insegnamento che ne deriva, il Signore ora si rivolge seriamente a un’umanità forse più matura di quella dei millenni passati, ma perlopiù ancora incapace di restar salda sulla via del bene da Lui indicata. Infatti, solo pochi uomini desiderano ancora ascoltare, accogliere, e anzitutto, vivere la Sua Parola, mentre la maggior parte è incline piuttosto ad assecondare le lusinghe del mondo che deviano in tutt’altra direzione, desiderando perseguire sempre e solo le necessità materiali, e talvolta esasperando le pretese del corpo ma togliendo linfa spirituale all’anima che, sia pure in silenzio, ne condiziona le sorti (per questo, il Signore è perentorio nell’affermare: (3728) “Un’anima morta, in un corpo per quanto gioioso di vivere, è la vostra rovina, non appena lascerete la vita terrena”).
Ma nonostante tutto, l’abitudine oramai diffusa a tenere in massima considerazione l’esteriore, cioè la forma o ‘involucro’… a scapito dell’interiore, dell’essenziale o ‘spirituale’, resta pressoché invariata, anzi peggiora, causando in molti una contraddizione sì sofferta, ma che non si vuole, o talvolta non si sa, risolvere, e che si continua a dissimulare con qualsivoglia mezzo di distrazione.
Ed è proprio in tale scenario che si pongono con semplicità e limpidezza le spiegazioni divine riguardanti il rituale dell’ultima Cena di Gesù con i Suoi discepoli, il cui vero significato quasi nessun credente comprende, indotto invece a seguire ciò che erroneamente gli viene indicato dalla classe clericale. Un significato che grazie a questi dettati non consente più di ‘distrarsi’ e non udire il Suo ripetuto appello: (3676) “Oh, concentratevi, e non lasciateMi bussare invano alla porta del vostro cuore, apritela e lasciateMi entrare per portarvi la salvezza…”, un appello tramite il quale siamo chiamati con urgenza, consapevolmente, a liberare il cuore dai fronzoli esteriori e a tenere in conto la sola verità, quella verità che si apprende desiderando solo il nutrimento proveniente da Lui, il pane e il vino che non sono altro che la rappresentazione figurata della Sua parola, vero cibo per l’anima e, di conseguenza, forza elargita anche al corpo, in grado, così, di spiritualizzarsi.
Come avrebbero potuto i discepoli, fin dalla loro prima evangelizzazione, e poi durante le persecuzioni protrattesi per quasi duecento anni, istituire una cerimonia che avesse valenza redentrice, se negli Atti degli Apostoli non se ne fa cenno?
Il simbolo del nutrimento celeste distribuito da Gesù durante l’ultima Cena con le parole ‘carne’ e ‘sangue’, non doveva costituire nessun rituale della comunione, così come fu istituito in seguito nel Concilio di Nicea (325 d.C.); esso era solo un condividere del pane o altri generi alimentari (l’agape), in memoria dell’ultima Cena, ma che non aveva nessuna valenza redentrice, e diventò poi legge, attuabile tramite un’ostia, cioè pane azzimo, dietro l’obbligo di osservanza per tutti i cristiani, solo dopo il 1563 con il Concilio di Trento.
La vera ‘comunione’ è invece un misterioso processo che deve attivarsi proprio nel cuore umano (luogo cruciale, privilegiato, della nostra unione d’amore con Dio, ma che chiama in causa anche le ragioni del nostro rovinoso allontanamento, da Lui…). Un processo che conferma e rafforza il significato di ‘amore’, così come il Signore lo intende: non la tiepida ripetizione di parole vuote, né l’impulso emotivo manifestato in momentanee azioni esteriori, frutto di un fraintendimento della Sua parola e dei Suoi gesti, ma la messa in opera di un bene libero, svincolato dall’amor proprio, rivolto solamente a Lui, e che liberamente si realizza nel bene verso il prossimo.
Se invece, pur avendo accolto Dio stesso nella libertà, si rifiuta la Sua Grazia, ciò non è senza conseguenze: l’anima malata nell’uomo, che all’inizio della sua incarnazione è debole e immatura, sempre bisognosa del giusto nutrimento, quando si allontana dal proprio Medico Creatore perde la possibilità di rafforzarsi, rimandando così il suo perfezionamento sulla Terra che la aiuterebbe nel momento del ritorno nell’aldilà, alla Casa del Padre.
Perciò siamo spronati ad andare adesso, alla Sua Tavola, perché i tempi si faranno difficili e non sarà più possibile attingere il nutrimento offerto. E in verità, difficili lo sono già ora, che è palese come l’umanità si sia sfacciatamente votata all’auto–distruzione, anziché perseguire l’auto–formazione (7089) “Verrà il tempo in cui vi mancherà anche ciò di cui avete bisogno per la vostra vita terrena, se il Mio avversario non ve ne fornirà in modo abbondante, tale da farvi dimenticare la vostra anima”.
A maggior ragione, dunque, le parole ‘Fate questo in memoria di Me’ non sono da intendersi come l’obbligo a reiterare una ‘cerimonia’ per ottenerne un effetto, ma un invito a desiderare sempre l’unione con Lui, adempiendo il comandamento dell’amore per il prossimo grazie alla trasmissione della Sua Parola, in un rapporto diretto che ci assicura la Sua presenza, fonte viva che sgorga eternamente, e dà sostentamento materiale e forza spirituale a chi ciò desidera e chiede.
E questo può avvenire, Egli assicura, anche nei luoghi dove la Parola viene offerta ‘ufficialmente’, o anche, dove si tengono delle semplici conversazioni spirituali, quando chi chiede, desidera seriamente ricevere il giusto nutrimento per la propria anima. Infatti, là ‘dove due o tre sono riuniti nel Suo nome’, innumerevoli esseri spirituali prendono parte alla benedizione, desiderano essere istruiti e istruire, e guidano i pensieri degli uomini a ricevere la verità senza lasciarsi impressionare dall’errore che l’azione dell’avversario potrebbe insinuare.
Così riceviamo il nutrimento che vale, l’unico in grado di farci percepire la divina presenza, che nella nostra forma materiale umana si esprime manifestandosi proprio nello spirituale legato in questa forma, che è una Sua parte, e che dopo la ‘caduta’ deve poter tornare nuovamente a Lui, nella perfezione. Perciò il Dio incarnato, Gesù, si darà sempre a coloro che vogliono riceverLo, e li nutrirà allo stesso modo dei primi discepoli, con la Sua Parola, carne e sangue, quale Pane e Vino celestiali: (4908) “Per questo vi ho scelti, affinché siate Miei ospiti e siate saziati alla Mia mensa…”.